La felicitÀ araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana. Shady Hamadi
Una tragedia che viene da lontano
Per la Siria questi ultimi due anni di morti e distruzione sono stati non solo il superamento di quella linea che delimitava la protesta di una parte della popolazione verso un regime in guerra civile, tra chi è stanca di essere la vittima e chi vuol solo vivere, ma la trasformazione di una nazione in un campo di esercitazione di varie componenti islamiste. Gli Hezbollah schierati contro gli insorti, le brigate qaediste impegnate in una jihiad contro tutti, un’opposizione laica dalle mille tonalità e islamici moderati che sono incerti nel voler del tutto destituire Bashar al-Assad.
È una Siria lontana dalla sua Primavera quella immolata sull’altare delle incertezze occidentali e dall’incapacità dell’opposizione a presentasi unita.
L’Occidente si domanda se è il caso di armare i ribelli, è una di quelle cose che non si dicono ma si fanno, anche se la presenza sempre più considerevole degli islamisti rende i governi europei e quelli statunitensi titubanti in tale senso, mentre Israele, senza prendere posizione per l’uno o per l’altro schieramento, si limita ad osservare e intervenire con raid aerei per impedire le forniture di armi agli Hezbollah in Libano come nel caso di convogli o di depositi di stoccaggio soprattutto dei razzi iraniani Fateh 110.
Le numerose pubblicazioni dedicate alla cosiddetta Primavera Araba o forse più indicata come Rinascita, si sono concentrate sulla trasformazione del crescente scontento in ribellione, per sfociare nell’insurrezione che destituisce i regimi oppressivi di Tunisia, Egitto e Libia, ma che non ha coinvolto altri paesi del mondo arabo e che in Siria non trova sbocchi.
Diversamente da ciò che è accaduto in Tunisia, Egitto e Libia, dove le formazioni islamiste più o meno estremiste sono apparse dopo la caduta dei vari regimi, in Siria i combattenti che si possono definire fondamentalisti sono già all’opera da tempo e provengono dalle diverse aree del medio oriente, trasformando la richiesta di libertà e democrazia in guerra non solo civile, ma anche religiosa per procura tra l’Arabia Saudita e l’Iran, ponendo i sunniti contro i sciiti alawiti. Una contrapposizione che coinvolge anche la Turchia nella sua anima alawita che porta alcuni medici turchi impegnati negli ospedali in Antiochia a praticare una medicina poco compassionevole, estrema, che dagli abusi verbali passa alle amputazioni superflue per vendicare i loro cooreligiosi oltre confine sui ribelli medicati in Turchia, mentre il governo turco cerca di fare pressioni per una soluzione del conflitto.
Una situazione complessa che fa risalire l’attuale tragedia siriana alle angherie subite da una parte del popolo per lungo tempo, con decenni di mancate insurrezioni e feroci repressioni.
Un dramma che viene da lontano e che Shady Hamadi cerca di ripercorrere, in parte attraverso la storia della sua famiglia, nel libro La felicità araba che descrive le sofferenze di tre generazioni di una famiglia siriana sotto un regime dittatoriale e i racconti di molti ragazzi che si trovano a vivere la rivolta siriana nelle sue atrocità quotidiane.
Se il libro di Antonella Appiano - Clandestina a Damasco (Castelvecchi, 2011) - descriveva un paese sull’orlo della guerra civile, quello di Shady Hamadi è una storia che parte dal ‘900 per giungere alla guerra civile nelle strade e sul web dei nostri giorni.
Nel 2006 venne pubblicato in Italia L'infelicità araba di Kassir Samir (Einaudi), un anno dopo il suo omicidio da parte di un gruppo terrorista a Beirut. Un libro sulla condizione araba e la consapevolezza del proprio declino. Uno scritto premonitore per una reazione all’immobilismo che decretò un declino prima di tutto civile e culturale che aiuta a riflettere sulle motivazioni di un ribellarsi diffuso nel mondo arabo.
Kassir Samir offre una lettura teorica per il futuro arabo, Shady Hamadi si cala nella realtà, alternando la storia della famiglia dell’autore con le vicissitudini odierne, attraverso i racconti dei vari protagonisti e di quelli vissuti in prima persona, in un esercizio della Memoria per non dimenticare i vari tentativi di cambiamento e le successive azioni repressive come l'insurrezione organizzata dai Fratelli Musulmani e “conseguente” massacro di Hamā del 1982 del quale ancora oggi il numero dei caduti è impreciso e varia, secondo le fonti, dalle 7 alle 40mila vittime.
Per “poter diventare coscienti di ciò che accade in questo piccolo grande mondo”, come scrive nella prefazione Dario Fo per il libro di Shady Hamadi, può essere utile soffermarsi anche sulle immagini di Fabio Bucciarelli, che per il suo fotoreportage “Battle to death” da Aleppo è stato premiato con il Robert Capa Gold Medal 2013, visibile sul sito della The Overseas Press Club of America, e accorgerci che le atrocità delle persone verso altre persone è difficile da immaginare, come è difficile prevedere le conseguenze di una infanzia che da due anni ha smesso di giocare (i più fortunati si trovano smarriti nei campi profughi libanesi o turchi intenti a chiedere l’elemosina).
Una tragedia, quella siriana, che si può ripercorre attraverso le storie pubblicate sull’Osservatorio Italo-Siriano.
Chi potrà ricostruire la Siria del domani se le generazioni future non vedono un diverso futuro che non sia nascondersi tra le macerie delle proprie dimore o vivere nelle tende?
La Siria e i suoi quotidiani morti appare e scompare dalle pagine dell’informazione come un fiume carsico e molti altri sono i drammi sparsi per il pianeta che non trovano spazio sui media.
Riccardo Noury di Amnesty International Italia afferma che “Dare spazio ad autori come Shady Hamadi significa ripristinare un circuito d’informazione corretta su cosa sta accadendo in Siria.”
Forse certificare un testo come informazione corretta può apparire eccessivo, è sempre una narrazione da un punto di vista parziale, ma sicuramente un’occasione di riflessione sulle meschinità e atrocità che l’umanità è capace di perpetrare nei confronti del prossimo.
Anche in questo drammatico periodo i siriani non hanno abbandonato l’ironia e la satira, esprimendo il proprio sentimento con la matita, come danno dimostrazione le realizzazioni diffuse su internet nel sito Creative Syria e presentate in mostre itineranti come quella di Milano ai primi di maggio, nell'ambito del Festival del Cinema africano, d'Asia e di America Latina.
Una disumanità che crea gabbie, come mette in risalto il poeta siriano Adonis, pseudonimo di Alī Ahmad Sa'īd Isbir, con “Pur viaggiando, ovunque, entro i confini arabi, / non vedrai altro che gabbie. Perfino i giardini / sono l’immagine di gabbie interne.” Poche righe riportate all’inizio del libro da Shady Hamadi, per gabbie insite in noi, gabbie che altri hanno costruito per soggiogare il desiderio di libertà.
Probabilmente la poesia di Adonis più indicata per descrivere il nostro futuro, senza alcune acrobazie chiaroveggenti, può essere Oriente e Occidente.
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