GLI OCCHI DI VENEZIA
Un piccolo trionfo del made in italy, dall'autore all'ambientazione, una storia perfettamente costruita tra i vicoli di una città magica come Venezia in uno dei suoi periodi più luminosi, raccontato con maestria tale da tenere il fiato sospeso ad ogni pagina, e non è un esagerazione.
Siamo alla fine del Cinquecento nella Serenissima Repubblica di Venezia, dove una carestia di grano mette in ginocchio le classi più povere a causa dei prezzi inagibili del pane e dei ricchi aristocratici che offrono poco lavoro per non perdere i loro soldi. Una delle famiglie ad essere gravemente colpite dalla crisi è quella di Michele, che, finito nei guai a causa del padre, è costretto a fuggire imbarcandosi su una galera come rematore per evitare l'arresto e il processo, lasciando sole la madre e la giovane Bianca, da poco presa in moglie. La sua fuga si rivelerà un susseguirsi di esperienze non meno rischiose di ciò a cui era destinato se fosse rimasto a Venezia, regalando molti sorrisi grazie ai personaggi che troverà sulla sua strada, ma anche molta suspense per tutto ciò che si troverà ad affrontare.
La trama parte fin da subito con un ritmo serrato, che incuriosisce pagina per pagina per la sua imprevedibilità, oltre al protagonista infatti, la vera sorpresa è la giovane moglie e ciò che le accade una volta lasciata sola con la suocera, se il pensiero iniziale può esser quello di una prevedibile noia, bastano poche pagine per far cambiare idea; una personalità forte e una situazione disperata danno vita ad una serie di avvicendamenti che la portano a crescere in breve tempo, partendo col fare la lavandaia fino ad arrivare al servizio di una prestigiosa famiglia, che si rivelerà poi determinante per il suo futuro, ma soprattutto che darà ulteriore ritmo ad un romanzo che a quel punto è già coinvolgente.
Non manca infine una vasta dimostrazione di ciò che i potenti corrotti erano disposti a fare pur di acquisir prestigio, soprattutto nell'ultima parte del romanzo dove l'autore dà una chiara idea di come agivano il Doge e il Consiglio dei Dieci, che a quel tempo erano i grandi signori della Repubblica.
Ma se non bastano le avventure dei protagonisti a stimolare la curiosità del lettore, oltre a qualche sorriso, ci pensano i dialoghi, fatti per la maggior parte da parole semplici come il popolo che le parla, ma ben costruiti, a volte anche con tendenze al dialetto veneto per dare maggiore ambientazione alla storia. Il tutto è ben mescolato ad una narrazione per nulla tediosa che regala immagini chiare di una città nata sulle palafitte che ha molto da raccontare, e questo romanzo ne è un ottimo esempio.
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