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PIŁ CHE INIQUA INUTILE, PIŁ CHE INUTILE DANNOSA

Naturalmente parliamo della manovra che il paraguru, per fare incavolare di più la gente, ha chiamato Salva Italia.
Come abbiamo argomentato nel numero di Dicembre il problema primo dell’Italia non è il debito pubblico, che non è così lontano da quello tedesco, e sui dati tedeschi il dubbio di taroccamento è prossimo alla certezza, semmai si potrebbe discutere sulla qualità della spesa pubblica, madre del debito, ma allora si tratta di una questione di qualità e non di quantità.
Viceversa il nostro primo problema è la stagnazione sulla quale galleggiano immobili da almeno vent’anni.
Sempre nello stesso numero di Dicembre vi abbiamo mostrato come le imprese francesi investano in ricerca e sviluppo sei volte più delle italiane e quelle tedesche sette volte di più.
E questo divario negli ultimi venti anni è andato sempre in crescendo fino ad arrivare ai valori attuali. 
In breve i problemi che ci affliggono riteniamo che siano i seguenti, elencati senza ordine di priorità:

  • deficit di investimenti in ricerca e sviluppo, pubblici e privati, più privati che pubblici,
  • qualità della spesa pubblica, origine di sprechi, inefficienze e quindi corruzione,
  • modesta qualità della scuola e per di più in fase ulteriormente calante.

Pensare di risolvere questi problemi per decreto è folle e al tempo stesso è folle pensare che questioni di tale natura possano essere risolte in breve tempo.
È certamente più facile tassare la casa o la benzina.
L’altra balla che viene raccontata dai professori macroeconomisti è  una fiaba macrosuperficiale, la quale ci viene così raccontata: liberalizziamo, liberalizziamo e, grazie al potere di autoregolamentazione dei mercati,  magicamente l’economia riprenderà a correre. 
Per credere alle fiabe è necessario non guardare alla realtà, perché la realtà ci dice l’opposto, in questi anni, in nome delle liberalizzazioni, ai monopoli pubblici si sono sostituiti monopoli privati o cartelli, conclusione prezzi e tariffe non hanno fatto altro che crescere.
L’altra balla si chiama deregolamentazione, sempre i macroprofessori ci ammoniscono che deregolamentare necesse est e di fatto grazie a queste deregolamentazioni, negli ultimi 25 – 30 anni, a livello planetario in poche, pochissime, mani si sono accumulate enormi ricchezze, da qui nasce la speculazione alla quale nessuno stato da solo può fare fronte; sarebbe necessaria la coesione tra gli stati, ma da un lato gli speculatori hanno i loro Goldman ben sistemati nei posti di comando, d’altro canto i governanti si ispirano al principio “io speriamo che me la cavo”.
Ma è proprio vero che si deregolamenta a 360 gradi?
Direi di no.
In realtà dove serve al potere finanziario-speculativo si regolamenta eccome, pensate ad esempio alle norme che imbrigliano la Banca Centrale Europea.

Cosa serve allora? Da qualche parte ho letto e condivido:
“servono nuove regole, non meno regole”.

Torniamo a ciò che ci sta a cuore, la ricerca, lo ribadiamo in tanti: se le grandi e medie  imprese italiane continuano di questo passo tra meno di dieci anni o saranno fallite o saranno assorbite dalle concorrenti estere.  
Ma grandi e medie imprese saranno capaci in un breve lasso di tempo di cambiare passo?
Non lo credo perché dovrebbero contestualmente cambiare buona parte del management, per essere sostituito da gente che abbia lo sviluppo e quindi la ricerca nel proprio DNA e questo non mi sembra possibile.
Restano le 5.500.000 piccole e micro imprese, che assieme alle attività individuali assicurano il 65% dell’occupazione e restano gli istituti di ricerca e le università. Il solo CNR ha più di 100 istituti e molti di questi sono di eccellente qualità, ma...
Ma manca un raccordo stabile con le imprese e in particolare con le piccole imprese che di innovare hanno bisogno, ma molto spesso non hanno le competenze avanzate per farlo.
Peraltro i tempi di risposta delle piccole imprese a fronte di opportunità di crescita concrete sarebbero rapidissimi. Appare dunque necessario stimolare la costituzione organica di reti di imprese attorno a progetti innovativi guidati dagli istituti di ricerca.
Nel prossimo numero torneremo su questo tema per approfondirlo.
In conclusione potremmo immaginare lo sviluppo della ricerca in due tempi, la risposta a breve affidata alle piccole imprese con il supporto degli istituti di ricerca e la risposta nel medio termine affidata alle grandi e medie imprese, indotte a investire in ricerca e sviluppo ad esempio, ma non solo, da una appropriata regolamentazione fiscale.


gennaio 2012

g. patruno

 

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