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OPPORTUNA PARITÀ

Di leggi sulle donne, ma anche sull’imprenditoria femminile, ce ne sono in Italia.

Forse sono poche, appena sussurrate, per poche, ma ci sono. Insieme ad esse si moltiplicano le attività ed una generale attenzione per le figlie evolute di Eva. La condizione del genere “donna” sembrerebbe salva.

Il fatto che si pensi anche a legiferare per rivendicare il diritto alla parità di ogni opportunità professionale per l’uomo quanto per la donna è utile e rassicurante sul piano della tutela ma su quello del bilancio evolutivo, umano e sociale, fa rabbrividire. Fa rabbrividire che, ad oggi, ciò sia necessario senza essere ovvio.

Così come ci si aspetterebbe un’assodata uguaglianza di diritti e accesso indiscriminato di tutti a tutti i settori produttivi a prescindere dal sesso, dalla razza d’origine, dalla classe sociale di appartenenza o dalla capacità di avvitarsi in proficue spirali relazionali.

Retorica vetero-comunista o tardo-femminista?

Forse semplicemente speranzosa utopia di cambiamento e riscatto per tantissime esistenze costrette ancora ad accontentarsi di rimasugli di sopravvivenza. O, forse, si tratta di presa di coscienza di una globale “strana” interpretazione del concetto di progresso o di evoluzione o di civiltà.

Sembrerebbe infatti che nella storia del genere femminile, come in tante altre storie di faticoso affrancamento, non si arrivi mai all’effettivo superamento di una vecchia mentalità ma che una preesistente primitiva impostazione sociale e culturale si ripeta diversa e uguale in base alle esigenze dei tempi: suffragette quando era necessario votare, femministe quando bisognava affermarsi ed integrarsi, fino ad approdare all’odierno contesto in cui un’importante legge che deve ancora regolare e sancire identiche opportunità tra uomo e donna, è il contraltare alla ghettizzazione.

Gli elementi a disposizione per valutare come se la cavano le donne nel mondo del lavoro sono vaghi e confusi, ma una cosa è certa: in Italia guadagnano mediamente meno degli uomini, sono più soggette a ricatti, stentano ad affermarsi in posizioni di prestigio, spesso vengono violate nella loro intimità e, soprattutto, non sanno coalizzarsi in modo solidale, se non in rarissimi casi, quasi sempre supportati da fortificanti orizzonti borghesi. Oltretutto, se per svariate motivazioni, spesso al di fuori della loro diretta volontà (in questo però uomini e donne sono assimilabili) intorno ai 40 anni o dopo sono costrette ad uscire dal mercato del lavoro, non sono sicure di poterci rientrare in tempi ragionevoli e comunque non prima di essersi sottoposte a penosi ed immancabili cicli autocolpevolizzanti.

Eh sì, forse è proprio qui il nocciolo oscuro...le donne sono in linea con la natura più di quanto non lo siano gli uomini che, in fondo, non sono costretti a compiere iniziazioni cicliche di espiazione.

In realtà il cambiamento e la effettiva integrazione sono desideri di minoranze (apparenti ed in continua crescita) come i poveri, le donne non protette, i reietti, ossia di tutti coloro che una società democratica orientata alla diffusione indistinta del benessere ha deciso, forte delle sue politiche economiche fallimentari, di rendere, non si capisce perché e a vantaggio di cosa (mantenimento di caste e feudi?), eternamente inutili al ciclo produttivo, inadatti al lavoro, emarginati o degni solo di un tozzo secco di pane elargito con benevolenza.

Forse il grande problema di questo paese, tanto maschile quanto femminile, è soltanto uno: disuguaglianza mostruosa e medievale, fatta di grandi accaparratori e pochi beneficiari di quello che dovrebbe essere invece bene collettivo, equamente e proporzionalmente distribuito.

 

aprile 2012

Simonetta Ruggeri

 

 

 

 

 

 

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