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LA RICCHEZZA DELLA POVERTÀ

Partendo dall’assioma che «le città non sono piene di persone povere perché rendono povere le persone, ma perché attraggono le persone offrendo loro la speranza di una vita migliore», si diramano le riflessioni e le certezze di Edward Glaeser, uno dei più noti economisti statunitensi, nel libro Triumph of the City (Trionfo della città), un vero elogio della città nel favorire le realizzazioni umane.
Più gente popola la città e più aumentano le possibilità di interagire e, magari, trovare l’anima gemella.

Triumph of the City è un’indagine sulla città ma anche sulla propensione dell’umanità alla socializzazione, indagine che scarta qualsiasi ipotesi sul rapporto tra violenza e densità abitativa esaltando ogni realtà urbana e il fiorire di ogni servizio come ristoranti e supermercati, ma anche cinema e musei, dove la grande produzione di rifiuti permette una maggiore scelta per la sopravvivenza degli indigenti.

Un’umanità povera ed invisibile a Singapore o Londra, secondo Glaeser, ha le stesse chance di quella emarginata nelle favelas e negli slums, rispetto a chi vive in provincia. Le città dalle grandi contraddizioni, non solo del “Terzo Mondo”, sono in costante cambiamento e sono i soli luoghi dove è possibile salire nella scala sociale, grazie alle numerose occasioni d’incontro.

Nelle grandi città non ci si può rinchiudere in casa, è la socializzazione che permette di migliorare il proprio status. Glaeser suggerisce, per evitare le disuguaglianze tra la città e la povertà rurale, di liberalizzare la crescita urbana. Niente piani regolatori, ma tassazione per chi costruisce modificando la visuale altrui o che intensifica il traffico in una zona tranquilla, limitare l’utilizzo della tutela ambientale, evitando immobilità dello sviluppo urbano, perché non tutto è degno di essere conservato, auspicando la formazione di comitati di quartiere per l’autogestione.

L’economista statunitense misura la ricchezza della metropoli con la moltitudine di persone che sciupano più che consumare e danno l’occasione agli indigenti di sfamarsi nei cassonetti dei supermercati e nelle discariche, grazie allo spreco altrui. Dopo il consumismo è ora la volta dell’esaltazione dello spreco, nonostante le periodiche crisi finanziarie, in cui si evidenzia la separazione tra la città ricca e quella sull’orlo della dismissione.

Al rapporto annuale sulla povertà redatto dalla Comunità di Sant'Egidio e a quello redatto dalla Caritas sulla realtà romana, secondo i quali sono oltre 100mila le persone che vivono sotto la soglia della povertà e tra 6 e 9mila quelle senza fissa dimora, è seguito quello dell’Istat, che presenta il disagio economico italiano in crescita, con 8 milioni 272 mila indigenti, il 13,8% della popolazione, quasi 3milioni di famiglie sull’orlo della povertà relativa, mentre un milione e 156 mila sono le famiglie in condizioni di povertà assoluta.

Individuare gli strumenti per misurare la povertà relativa o estrema è argomento di interminabili tavole rotonde internazionali, anche se vivere con 750 euro mensili a persona o 992 per un nucleo di due componenti può sembrare sufficiente in provincia e molto meno in città come Milano o Napoli, Firenze o Venezia.

Il far pagare indistintamente dei ticket sanitario di 10 euro non è una forma egualitaria ma solo più facile per redigere leggi e articoli finanziari, adatti a recuperare fondi. Per chi ha una pensione di 500/700 euro e rientra in quella fascia sociale reputata in miseria fare una visita diventa gravoso e fare delle analisi pressoché impossibile. Per chi gode di trattamenti pensionistici superiori ai mille euro curasi è più facile, e va sicuramente meglio a chi prende 1500 euro. Se al bilancio statale necessita un’iniezione di euro perché non rispolverare la paritaria Ici, anche sulla prima casa, dove le abitazioni godono di una classifica secondo la grandezza e la localizzazione? O magari tassare chi possiede una rendita superiore ai 500mila euro.
Politici ed economisti pigri, preferiscono andare a prendere i soldi da chi non scappa, piuttosto che rincorrere prede ben più ambite, che si nascondono dietro dichiarazioni fittizie.

I rifiuti sono sicuramente un’opportunità per molti abitanti di questa Terra per sopravvivere come dimostra il video sui cristiani copti che rovistano nella spazzatura del Cairo, dando vita a tante attività a conduzione famigliare impegnate nel riciclaggio, arrivando a recuperare anche l'80 per cento della “mondezza”: un esempio per l’Occidente ambientalista. I copti sono cittadini di serie B che hanno trasformato la necessità in virtù, utilizzando i tetti come cortili delle loro abitazioni, non solo luoghi di lavoro per la separazione degli scarti della civiltà, ma anche come fattorie urbane, dove le capre mangiano la parte organica dei rifiuti. Metalli e plastica, carta e stoffa, gettati dalla città satolla, sono utili a quella povera, oltre a contenere la presenza di plastica nella megalopoli egiziana e fornire un piccolo contributo al Pianeta.

Anche a Nairobi, come al Cairo, gli emarginati vivono delle discariche. Le loro baraccopoli si chiamano slums, termine che ha ispirato anche un rap, un agglomerato di strutture fatiscenti, prive di ogni servizio, fatte di lamiera e cartone. Sono in gran parte i bambini di strada che scavano tra i rifiuti per recuperare qualcosa da vendere o da utilizzare per rendere meno poveri gli abitanti degli slums.

Dalle discariche come quella di Dandora, una delle più grandi dell’Africa, gli abitanti degli slums come Korogocho o Canaan riescono a trovare qualche sostentamento. Recuperano indumenti e smistano i rifiuti: pneumatici da trasfore in calzature, vetri da rivendere e mobili da sistemare, ma vivere nelle vicinanze di una discarica significa respirare fumi tossici e avere i metalli pesanti nel sangue.

Residuati bellici vengono usati come materiale per le sculture dell’artista mozambicano Gonçalo Mabunda, taniche vuote di petrolio servono a Romuald Hazoumé, del Benin, per una rilettura della maschera africana e dello schiavismo, mentre il sudafricano Nicholas Hlobo assembla la gomma con il metallo, la stoffa con il legno per dar vita a mostri a misura d'uomo.
Tra la creatività africana hanno un posto di riguardo gli scarti tecnologici come i Cd o i nastri magnetici, tutti materiali praticamente indistruttibili. Tonnellate di materiale elettronico obsoleto per il Nord del Mondo infatti vengono occultate in Nigeria come in Ghana, mentre per il materiale tossico si preferisce la Somalia.

Dall’altro lato del globo sono le favelas, dopo anni di sacrifici per trasformare le baracche di legno e lamiera in case, ad essere oggetto di negazione mimetizzata da una volontà di risanamento urbanistico in vista dei mondiali di calcio del 2014 a Rio de Janeiro. Si demoliscono interi quartieri e si trasfeeriscono forzatamente gli abitanti, calpestando ogni diritto in vista dell'appuntamento sportivo. Un immane sforzo quello del Governo e dell’Amministrazione brasiliana per nascondere i calcinacci di un’intera società sotto il tappeto, come successe in Sud-Africa con i Campionati del 2010, e mostrare pulita la casa.
Una democrazia che prima lusinga gli abitanti delle favelas e poi, se non sortisce alcun effetto, li minaccia. Quaranta architetti impegnati per liberare il panorama dalle baraccopoli di una metropoli come Rio de Janeiro. Niente favelas abbarbicate sui costoni delle colline che intristiscono la vista e interrompono la continuità cromatica della vegetazione.

È dalle discariche di Rio che Vik Muniz ha trovato ispirazione per trasformare la spazzatura in oggetti da esporre nei musei e nelle gallerie, diventando il soggetto di Waste Land, documentario della regista britannica Lucy Walker, accanto ai catadores, i ragazzini che vivono riciclando i rifiuti; oggetti di scarto entrati nel circuito dell'arte contemporanea internazionale grazie al potere di metamorfosi della fantasia umana.

Anche a Buenos Aires sono favelas, come anche in Venezuela, a “deturpare” il paesaggio con abitazioni precarie. Luoghi sovraffollati che recentemente si sono moltiplicati con l'occupazione di altre aree dismesse: non solo zone degradate ma anche parchi per costruire i loro rifugi. Una situazione che si aggrava ogni anno con l’aumento dell’arrivo di migranti dalle aree rurali.

Un popolo non solo argentino, ma anche boliviano e paraguayano, vittima delle demolizioni autoritarie di altre baracche di cartone, legno, lamiera e plastica, oltre che dell’impoverimento sociale.

A Mosca è nei sotterranei della stessa industria per cui lavorano che un centinaio di clandestini hanno trovato, grazie alla complicità del responsabile dell’azienda, alloggio. Duecento metri quadri trasformati in un villaggio, con uno spazio “commerciale” e uno dedicato alla preghiera per dei lavoratori, in maggioranza uzbechi e kirghisi, sfruttati. Una delle tante realtà moscovite, dove la maggior parte dei migranti vive proprio nei sotterranei di stazioni ferroviarie o delle stesse aziende per cui lavorano.

A Roma l’indifferenza della città occulta alla vista un’umanità che elegge a dimora, ad un soffio di respiro dal set del Grande Fratello, uno spettro di abitazione, dove vive una famiglia orgogliosa dei risultati scolastici di una figlia che studia a lume di candela.
Un’area urbana, quella romana, costellata da campi di sosta estremamente temporanei, come quello sotto il cavalcavia della Magliana-Eur, periodicamente sgombrati e regolarmente riorganizzati.

Una periferia disagiata, con una povertà che qualifica la città ricca e che permette agli indigenti di poter consumare, timidamente, un pasto in una mensa di sostegno o di recuperare sedie e mobili dalle discariche. Questo è il risultato di decenni d’indagine del professore Edward Glaeser che non sbaglia nel definire semplicisticamente che la povertà è una ricchezza, come lo è la mondezza, con prosperi stanziamenti che solo in parte serviranno ai bisognosi, perché è lunga la filiera e interminabili i balzelli. Mentre i ricchi e la schiera servile alla finanza non hanno nulla da temere, sono i poveri la loro ricchezza.

Non sono città pestilenziali come vengono descritte da Lorenzo Pinna nel suo libro Autoritratto dell'immondizia (Bollati Boringhieri), ma sicuramente si sono sviluppate sotto il condizionamento dei rifiuti. Una montagna di spazzatura che ha influenzato la civiltà e la sua cultura, esprimendo non solo epidemie da malattie di sovrappopolazione, ma anche tematiche artistiche sul recupero e il riciclaggio.
Questo è un aspetto poco indagato nella teoria della povertà come ricchezza della metropoli avanzata da Edward Glaeser. Un mondo urbanizzato per creare occasioni d’incontro e opportunità di vita anche agli indigenti è un incubo ben lontano da una delle armonie urbane descritte da Italo Calvino nel suo libro Le città invisibili, la città di Leonia, dove la'opulenza si misura dalla quantità di rifiuti prodotta ogni giorno, senza che qualcuno si chieda dove venga portata la spazzatura. Un pattume che viene spinto sempre più ai margini della città, dando origine a colline e montagne, imprigionando la città stessa in un cratere, come molte altre città, dove “ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.” Una città che si rifà ogni giorno, trascurando lo choc al quale viene sottoposta la rete fognaria, il sistemi di servizi igienico-sanitari.

La mondezza è segno di ricchezza, oltre ad essere una ricchezza per le organizzazioni malavitose, ma anche per la gente perbene, i benestanti che oculatamente la utilizzano come fonte energetica e per gli indigenti che ne traggono sostegno.

Nel Nord del Mondo termovalorizzatori, smaltimento rifiuti e produzione energetica sono parte del contesto urbano o del paesaggio, come quello occultato sotto una pista da sci in Danimarca, mentre nel Sud i rifiuti sono ammassati in colline nauseabonde o sparsi sul terreno senza alcuna logica se non quella dell’inquinamento selvaggio. In questo contesto l’Italia rimane in sospeso tra i due Mondi.
I rifiuti possono essere scaricati dalla malavita nel Sud del Mondo o inviati dall’istituzione al Nord. Nel primo caso a guadagnarci è chi li scarica, nel secondo è chi li riceve a trarne profitto, perché gran parte dell’Italia non ha saputo attrezzarsi per lavorare ciò che scarta quando sarebbero sufficienti termovalorizzatori sotterranei, in aree dismesse per non danneggiare il paesaggio, e sopra alberi per contrastare il disboscamento.

Sono passati 53 anni della pubblicazione che Giovanni Russo dedicava a L’Italia dei poveri (Longanesi) e appare così attuale nell’odierna edizione della Hacca.

Una decina di anni sono passati da quando l'Onu prese l'impegno di migliorare la qualità della vita di milioni di persone entro il 2015, con la "Dichiarazione del Millennio", in 8 obiettivi, compreso dimezzare il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà, meno di dollaro al giorno, ma forse verrà realizzato il contrario. Potrà essere ampliata la schiera dei milioni di persone che contribuiscono, inconsapevolmente, alla ricchezza di alcuni, azzerando lo stato sociale come prevede l’associazione Lef (Legalità e equità fiscale) con l’aumento dei prezzi di generi di prima necessità come il pane e la pasta, lo zucchero e il latte. Aumento dopo aumento sono queste le cause che hanno dato il via alle “Primavere arabe”.

 

settembre 2011

Gianleonardo Latini

 

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