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IL CAPITALISMO AUTORITARIO

Hillary Clinton stigmatizzò i rapporti tra Usa e Cina sui Diritti Umani con una semplice e illuminante affermazione: “Come fai a essere duro col tuo banchiere?”, mentre Dambisa Moyo, economista africana e autrice del recente La follia dell’occidente (Rizzoli), offre un lapidario giudizio sulle capacità cinesi ad intrappolare l’Occidente in una doppia mortale morsa che lo ha prima catturato con la fornitura di prodotti e poi fornendogli il denaro, a prestito, necessario per acquistarlo. Un Occidente che si indebita con la Cina, per acquistare delle merci prodotte con il lavoro di dissidenti trattati da schiavi e di operai pagati una miseria. È difficile competere con chi produce sotto coercizione e ti ha intrappolato nel labirinto dei debiti, ma non impossibile se l’Occidente riesce a far emergere le mille contraddizioni dell’odierna Cina.

La Cina ha ottenuto l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO - World Trade Organization) da una decina di anni, mentre la Russia intravede la sua candidatura accolta solo ora, dopo aver accettato un accordo con la Georgia e diciotto anni di negoziati, nonostante le diverse dispute territoriali tuttora irrisolte e la poca affidabilità cinese nello scacchiere internazionale. La Cina ha molti discutibili rapporti diplomatici ed economici con nazioni poco limpide, alcune compromissioni condivise con la Russia, come il Sudan o la Birmania, il Myamar per la dittatura e per prendere le distanze dal colonialismo britannico, la Siria e Iran, luoghi poco rispettosi dei Diritti umani, ma anche gli statunitensi dovrebbero riflettere sui convitati a pranzo e magari anche su quelli per la cena.

Al momento dell’adesione al WTO la Cina si era impegnata a rimuovere ogni dazio e tariffa sulle importazioni di materie prime, alcune indispensabili per i prodotti hi-tech, da altri stati, una promessa che a tutt’oggi non è stata onorata.

Aderire al WTO comporta per ogni membro, come in ogni “club”, dei doveri e dei diritti e per ora la Cina ha usufruito delle facilitazioni, senza onorarne le responsabilità, anzi sfruttando la sua posizione egemone per ridurne le disponibilità sul mercato, facendo lievitare i prezzi.

La strategia cinese non si limita nell' offrire parsimoniosamente le proprie materie prime, ma acquisisce quelle di altri, oltre a stipulare contratti vantaggiosi per lo sfruttamento delle terre e la manodopera sottocosto in Africa.

La Russia, almeno nominalmente, è un paese democratico, dove vengono indette da una ventina d’anni delle elezioni. Esiste l’ombra della Cecenia, ma è ben poca cosa in confronto con le diatribe commerciali e mille questioni territoriali con la Georgia, strascichi della guerra del 2008. La Cina no! Continua a negare i Diritti fondamentali e non garantisce da anni un minimo di assistenza agli abitanti delle campagne, più che dei centri urbani, sottoponendoli ai soprusi dei “dignitari” locali. Ma il commercio, come la finanza, non guarda con chi si fa affari.

Al popolo, nei cosiddetti paesi comunisti, era garantito un minimo di assistenza per vivere, in cambio della democrazia, ma attualmente è difficile ritenere la Cina un sistema ispirato alle teorie marxiste e rassettate da Mao Tse-Tung per la comprensione cinese. Delle vaneggiati utopie per una dittatura del “popolo” è rimasto solo un sistema autoritario coniugato ad una sorta di capitalismo di stato, dove poche sono le garanzie, ma numerose le opportunità di concludere vantaggiosi contratti per lo sfruttamento del lavoro.

Una Cina che legalizza la scomparsa dei dissidenti, con un progetto di modifica del codice penale, per non sentirsi meno democratica dell’Occidente impegnato a detenere i sospetti di terrorismo in appositi luoghi, paragonando gli attivisti per i diritti civili a nemici del Governo.

Dissidenti segregati nelle prigioni o agli arresti domiciliari, come Liu Xia la moglie del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, isolandoli dal mondo, ma il mondo non si dimentica di loro come la campagna in favore dell'avvocato cieco Chen Guangcheng, con la prolificazione di occhiali neri, applicati anche in modo vistoso sulle piccole foto degli utilizzatori non solo di Weibo, ma anche di altri siti di social media e forum.

Altri diventano dei personaggi cult come Han Han, autore di Le Tre Porte, con la sua generazione di trentenni che non hanno conosciuto Mao e si ribellano alle regole del sistema anche parlando inglese.

Una realtà cinese che il dissidente Ai Weiwei, liberato a giugno dopo tre mesi di detenzione, ha raccontato, nell’intervista rilasciata al settimanale statunitense Newsweek, come kafkiana, con una Pechino del potere e del denaro, dove regna l’indifferenza della gente per il prossimo, e l’altra, senza speranza, dove le persone sono le vittime della corruzione. Ai Weiwei descrive una città senza anima, dove i nuovi ricchi hanno i loro riservati quartieri.

Si cancellano gli antichi quartieri, serbandone solo dei brandelli di esotismo ristrutturato per gli stranieri, emarginando gli abitanti nelle periferie e per far posto alla speculazione immobiliare dei complessi ultra moderni e nella clonazione delle città europee, superando ogni riconoscimento Unesco come Patrimonio dell'umanità. Replicare Venezia e Parigi, paesini inglesi e scandinavi, tirolesi o mediterranei, anche con la complicità d’insigni studi di architetti, non ha un’importanza culturale, l’interesse è puramente speculativo per offrire un’ampia scelta immobiliare ai nuovi ricchi e a chi sogno di diventarlo. Una Cina modello statunitense: terra delle grandi possibilità e della paccottiglia, non è un’architettura coloniale come quella francese in Indocina o britannica a Hong Kong, ma tante Hollywood.

L’odierna Cina non è solo città replicate, ma anche architettura innovativa, in gran parte modello Occidentale, e tanti grattacieli, anche in mezzo alla campagna, come è successo a Huaxi, un “villaggio” della provincia di Jiaxuan, con il suo edificio di 328 metri. Settantaquattro piani di abitazioni e servizi, voluti dai contadini-imprenditori di un insediamenti tra i più ricchi della Cina orientale, con giardini pensili, scuole, centri sportivi, un piccolo ospedale e un albergo di lusso, per dare sfoggio di opulenza hanno pensato bene di collocare al sessantesimo piano un bue del peso di una tonnellata in oro. Un edificio che rimanda alla canzone Un Quartierino Sul Grattacielo, nell’Italia degli anni ’40.

Un grattacielo che non ha esonerato Huaxi a fare il verso alla provincia statunitense con ville all’americana, oscurando gli antichi splendori di Nanchino, ma rafforzando l’urbanizzazione coniugata alla crescita economica cinese.
La popolazione delle città è in procinto di superare quello delle campagne, producendo aree di trasformazione come Huaxi, dove si mescolano abitazioni contadine di un piano con i grattacieli.

La febbre edificativa che pervade la Cina, alterna le grandi opere architettoniche modello occidentale, di architetti di fama, per l’utilità d’élite, a delle unità abitative non solo in aree urbane e rurali dai prezzi agevolati, come la costruzione di 42.000 alloggi nel Tibet, entro 2015, con investimento di 2.22 miliardi di yuan (circa 348.98 milioni di dollari) e con i sospetti sull’assegnazione.

La realtà cinese in continuo muoversi rapidamente, come viene espresso dalla voglia di una rete ferroviaria ad alta velocità, di uomini e donne in città sempre più grandi, tratteggiata nel libro di Ilaria Maria Sala, esperta di economia e di Oriente, Lettere dalla Cina (ed. Una città), con l’eccezione di Hong Kong, città tranquilla che gode ancora di un po’ di libertà, ma dai confini fisici limitati.

La Cina di oggi non è un esempio di «potere socialista», se mai sia esistito, ma il connubio degli aspetti deteriori del Capitalismo e la globalità dei comportamenti di una dittatura, con il controllo ideologico delle masse, attraverso il denaro e la cultura, perseguendo l’unificazione della miriade di popoli che compongono l’universo cinese, sotto la supremazia Han, come dimostra le colonizzazioni del Tibet e dello Xinjiang con gli uiguri, della Mongolia interna e del Guanxi, rendendo le popolazioni di quelle aree socialmente più deboli.

L’undici settembre, per la Cina, è stato una fonte d’ispirazione per rendere “legale” la caccia al dissidente, con la scusa di perseguire sospetti terroristi, una forma autoritaria della legge federale statunitense del Patriot act. Non che Washington persegua una guerra al terrorismo rispettando sempre i diritti delle persone, ma la Cina ha trovato, nel prevenire gli attentati, un alibi per qualsiasi carcerazione che l’opinione pubblica, internazionale, riesce a venire a conoscenza.

Una tecnica, quella di dare un’apparenza di legalità alla repressione, che ha suggerito al popoloso gruppo dirigente cinese di legittimare, con una legge, la scomparsa dei dissidenti nel labirinto carcerario. Sembra possibile rendere giustificabile qualsiasi azione per dare la caccia alle persone scomode, condannando i Dissidenti come terroristi.

Qualcosa di simile alla Extraordinary rendition, bizantinismi dell’inglese per definire un’azione "extralegale", promossa dalla CIA, nell’organizzare della carceri segrete, con la complicità di governi democratici e autoritari, in vari luoghi del Mondo. Un superamento della legalità per segregare individui sospetti di terrorismo e renderli docili agli interrogatori.

La politica del gruppo dirigente cinese non si appoggia solo ai giornali e alle emittenti impegnate a divulgare le veline del regime, ma si rafforza con la vena populista del Global Times, uno dei più diffusi giornali governativi cinesi, per infondere del “sano” nazionalismo nei cinesi.

Una Cina in cambiamento che alterna le carcerazioni preventive all’introduzione di nuove misure per ridurre il numero di condanne a morte, da improvvise strette censorie sul web e sulla televisione a monitoraggi non invasivi di alcune aree della rete, ad esempio quella attuata sul Weibo di microblogging, una sorte d’ibrido fra Twitter e Facebook.

Una economia, quella cinese, in continua espansione, lontana dalla sobrietà dell’ideologia socialista, ma immersa nella arroganza di governanti che celano le loro vanità con il progresso del benessere di una società dedita al consumo di beni inutili. Un “Comunismo” quello dell’attuale Cina, analizzato nel libro di Geminello Alvi Il capitalismo Verso l'ideale cinese (Marsilio) e definito dall’autore come ossessionato dalla crescita e per questo malvagio perché finto: «Il male, se conosciuto, diminuisce; il bene invece conosciuto s'accresce. Ai buoni basta poco» e si domanda «per quali ragioni il capitalismo si manifesti oggi nel suo esito cinese.», con l’esasperante «urgenza di rinnovarlo senza fine

Un Capitalismo che necessita, in Occidente come in Oriente, di una costante produzione di superfluo, come artificiale percezione della crescita, alimentata dall’invidia individualistica e dal perseguimento del lussuoso superfluo. Una cuccagna per i nuovi capitalisti votati al liberalismo incontrollato, ma controllore.

L’Occidente è disposto a tutto per mantenere il suo tenore di vita, anche continuare a vendersi ai cinesi, confidare sullo spericolato consumo della fascia media per sperare nella crescita economica, senza prendere in considerazione la possibilità di una cura disintossicante per la nostra società malata di protagonismo e moda. Non può essere il Pil la sola unità di misura per soppesare il benessere di un paese. L’avvicinamento al libero mercato non comporta l’apertura alle libertà individuali, l’Occidente è ostaggio della dittatura capitalista cinese, si può solo confidare nella democrazia brasiliana, russa, indiana e sudafricana per compensare l’espansionismo della Cina.
Il gruppo dirigente cinese, nel tentativo di offrire una nuova immagine della Cina, ha intensificato l’invasione delle onde medie italiane con i programmi di Radio Cina Internazionale e con la pubblicazione da parte del Consiglio di Stato cinese del libro bianco sui Nuovi progressi nell'aiuto ai poveri e lo sfruttamento nelle aree rurali della Cina. Un libro bianco che illustra la riduzione dei poveri, da 94,22 milioni alla fine del 2000 a 26,88 milioni alla fine del 2010, nelle aree rurali. In Italia sono ben diversi i rapporti numerici con i nostri 8milioni di poveri.

In Russia avviene il contrario: da una democrazia capitalista si vuol passare a un sistema maggiormente autoritario per dare sfogo al liberalismo, ma solo se lo permette il capo.

dicembre 2011
Gianleonardo Latini


 

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