Una rivendicazione per il prezzo del pane si è trasformata in una richiesta di libertà, creando dei pertugi nei monolitiche società dalle “particolari” forme di governo, comuni non solo ai paesi del sud del Mediterraneo, ma anche in quelli del Golfo e di parte del mondo arabo che guarda alla Turchia come modello di democrazia islamica. Fenditure alimentate dalla crisi economica, dopo decenni di governi autoritari, dando coraggio alle popolazioni che cominciano a trovare sgradevole essere messi sotto tutela e sforzarsi per poter sopravvivere giorno dopo giorno e alzare la voce contro i sistemi corrotti. Una situazione che rimescola il panorama geopolitica e alla quale i social media come Facebook e Twitter, appaiono uno strumento efficace d’informazione e condivisione. Manifestazioni, con morti e feriti, non sembra sufficiente per ritenere limitativo identificare il Bahrein monarchie liberale, cercando un distinguo dalla Libia di Gheddafi, un dittatore riconosciuto che ama circondarsi di fanciulle, dagli altri paesi dell’area. Un distinguo evidenziato dalla spregiudicatezza con la quale il vecchio colonnello utilizza le sue milizie, specialmente quelle di origine africana, per delle efficaci azioni repressive.
Con la strategia adottata in questi giorni dal Colonnello è difficile vedere, anche all’interno del regime, un futuro della Libia che non può essere scritto da Saif Al Islam (Spada dell’Islam), il 38enne figlio “riformista” di Gheddafi, oltre che architetto, playboy e promotore dell'organizzazione umanitaria Libya al-Ghad (Libia di domani), rendendo il tutto di gusto shakespeariano.
I tunisini hanno indicato la strada per ottenere l’allontanamento di un governo sgradito e gli egiziani li hanno seguiti. Un cambiamento con delle incognite, come dimostra il caos regnante in Tunisia, che non dovrebbe contemplare la sostituzione di un clan corrotto con un altro, ma una serie di passi per una via alla democrazia di stile arabo, in un’area, quella del nord Africa, molto vicina alla cultura europea, come dimostrano le critiche del rapper tunisino El General, il ventiduenne Hamado Bin Omar, divenuto famoso per il pezzo Rayes Lebled o gli Arabian Knights in Not Your Prisoner. Una rivoluzione a suon di musica, un rap velato di orgoglio nazionalista che inneggia ad una “nazione libera dall'oppressione”, come canta il gruppo egiziano Arabian Knightz, forse la resurrezione del panarabismo rivolto alla giustizia sociale e alla libertà. Una lottando contro la corruzione e il dominio delle piccole elite finanziaria e politica che non evita gli sguardi anti-imperialisti.
Uno scontento che corre sul web, come dimostrano i diversi blog, come Laila Lalami o Maghreblog, anche su di un sito dedicato alla situazione kurda o Movements.org, impegnato a sostenere gli attivisti digitali da tutto il mondo, oltre all’attività informativa di Al Jazeera.
Protagonisti nell’aggregazione di tanto scontento lo sta svolgendo i social media, anche se alcuni come Facebook rifuggono il ruolo di fomentatore della rivolta, per evitare di essere visto con sospetto da paesi come la Siria.
Nonostante il corrotto sistema Ben Alì è apparentemente crollato, con il suo responsabile che trova asilo in Arabia Saudita, il futuro ai tunisini sembra incerto e fuggono verso l’Italia. Scappano forse perché compromessi con il vecchio regime o solo per approfittare dell’attuale confusione, per cercare un luogo migliore dove vivere.
Potrebbe accadere lo stesso in Egitto, dopo che l’euforia per la detronizzazione di Mubarak si sarà affievolita, e i disoccupati si accorgeranno che per ora continueranno ad non avere lavoro e contare solo su di un’economia famigliare imperniata sull’agricoltura e l’allevamento urbano sui terrazzi e cortili dei caseggiati. Per ora i militari garantiscono una continuità nell’arginare il pericolo jadista, promettendo il cambiamento.
Sino a poche settimane fa erano pochi gli organi d’informazione e i governi che schedavano il governo tunisino e quello egiziano come delle dittature, per la maggioranza erano solo delle democrazie autoritarie.
In questa ipotesi di cambiamento sono gran parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo ad essere coinvolti con l’ampliamento di un esodo in massa, con la conseguente crisi umanitaria che non darà spazio a strumentali dichiarazioni xenofobe ad uso di parte dell’elettorato europeo.
Il Governo italiano lamenta la solitudine nella quale l’Europa l’ha relegata, avendo confidato nei trattati stipulati per aver arginato la migrazione, per una politica poco concordata con l’Unione europea. In questo risveglio del mondo arabo vi è l’incognita, non solo in Egitto, dei Fratelli Musulmani, con la loro influente presenza nelle aree rurali, più che in quelle urbane.
Già il 15 settembre Lucio Caracciolo su La Repubblica, con l’articolo - L'occasione persa dell'Italia per la paura collettiva -, rifletteva, prendendo spunto dall’intervento armato della motovedetta libica – di fornitura italiana – nei confronti di un peschereccio sventolante il tricolore, sulle paure di un imminente assalto dell’umanità relegata nel sud del Mondo, in direzione del ricco nord e sulla minacciosa tesi dell’americano Sam Huntington sullo "scontro delle civiltà", da combattere nel Mediterraneo. Angosce che relega l’Italia ad un ruolo marginale, sconfessando la sua naturale vocazione di punto di riferimento europeo del Mediterraneo.
Il 31 gennaio Lucio Caracciolo ritorna, sempre su La Repubblica, sul tema delle occasioni perse – L'occasione che perderemo – per evidenziare la situazione nel Maghreb.
Abbiamo perso un’occasione, ma l’Italia, come l’Europa e tutto l’Occidente, ha perso più di un’occasione nell’evitare di intrattenere rapporti corretti non solo con i governi, ma anche con i popoli amministrati, e non solo con quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche con quelli, con dittature o governi autoritari, sparsi per il Mondo.
L'Occidente dovrà smettere di considerare il resto del Mondo incapace di darsi dei governi democratici e per questo sarebbero necessarie delle regole, se non si vuol chiamare moralità, nell’intrattenere rapporti politici ed economici con stati “autoritari”.
Il filosofo francese André Glucksmann, sul Corriere della Sera del 7 febbraio 2011, è convito che La democrazia può vincere nei Paesi arabi. Un timido esempio sono i riflessivi cambiamenti e lo sviluppo economico che il Marocco rappresenta, ma ciò nonostante non soddisfano i sudditi marocchini.
In questo ribollire nel mondo arabo è il bizzarro che il ruolo di megafono della rivoluzione venga svolto da Al Jazeera e da Al Arabiya, due emittenti televisiva con sede in due paesi retti da delle monarchie assolute degli Emirati Arabi Uniti e del Qatar, da sempre poco stimate dall’Occidente conservatore. Sovrani che tengo il governo dei Paesi del Golfo ben saldo nelle loro mani, elargendo i proventi del petrolio ai loro sudditi. Un potere su dei paesi che galleggiano sul petrolio e che ha trasformato le città in parchi di divertimento. Sfamano e si occupano del tempo libero dei sottoposti, offrendo con il contagocce qualche novità, come recentemente ha fatto il re saudita con il modificate oltre 100mila contratti precari nella pubblica amministrazione in stabili.
I reali sauditi sono anche legati da un accordo di mutua assistenza con i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo che potrebbe portare anche all’uso delle armi per sostenere questi piccoli feudi.
Essere un governo che intrattiene rapporti economici e politici con delle “democrazie” sotto tutela, solo perché appaiono garantire un controllo sulle intemperanze islamiche, fomentate dalla povertà, non può bastare per renderli apprezzabili e considerarli paesi amici.
Usare una nazione come barriera per contenere l’invasione africana dell’Occidente o considerarla come un potenziale mercato, non possono essere gli unici fattori per chiudere un occhio sull’indigenza e l’oppressione nel quale vive una parte sempre più numerosa dell’umanità.
Nelle stanze dei palazzi occidentali non usano chiamare questi governi delle dittature, ma eufemisticamente delle democrazie autoritarie, dove si svolgono periodicamente i turni elettorali, ma con vincoli di partecipazione per i partiti e candidati.
I timori dell’Occidente a parteggiare apertamente e con entusiasmo per le rivendicazioni dei popoli del Maghreb e del Medio Oriente per una migliore condizione di vita e una libertà elettiva, sono stimolati dalle precedenti esperienze avute con la Persia dello Scia che si trasforma in roccaforte dell’ortodossia mussulmana, come recentemente è accaduto con le libere elezioni nei territori palestinesi che hanno decretato l’egemonia di Hamas nella striscia di Gaza.
Più l’Europa che gli Stati uniti, propendono per uno status quo dell’intera area, per non aprire a delle incognite fondamentaliste o peggio dei pretenziosi miglioramenti economici per i prodotti destinati all’Occidente.
Con la diffusione della democrazia il sud del Mondo riduce gli ambiti dove trovare della manodopera a basso costo per i paesi industriali e in tutto questo trambusto ci si dimentica dei profughi persi nel Sinai.
Manodopera a poco prezzo, invasione di profughi, la revisione dei contratti imprenditoriali e impegni politici, saranno messi in discussione, magari naufragare, è il conto che l’Occidente si troverà a pagare per i suoi errori nei rapporti con l’altra sponda del Mediterraneo. Errori che trovano anche le radici nello sviluppo di una diplomazia chiusa nei salotti dell’ufficialità e che raramente interloquisce con la società di quel paese, portando ad ignorare i fermenti, trovandosi impreparati ai cambiamenti in atto in questi giorni. Sergio Romano, ex ambasciatore ed editorialista del Corriere della sera, legittimamente prende le difese della categoria dei diplomatici nell’impossibilità di prevedere una così esplosiva reazione a tanto scontento, archiviando l’epoca di Rudyard Kipling, con il suo Kim, o dei romanzi di Graham Greene e di Eric Ambler, dove l’opera di intelligence non si svolge solo negli uffici dei politici, ma soprattutto auscultare la popolazione.
D’altronde sembra rimasta sorpresa ed impreparata anche Al Qaeda nel Maghreb islamico, contraddicendo gli slogan che si ritieni vicina al “popolo”.
L’Europa come gli Stati uniti e il Mondo arabo dibatte come intervenire in Libia, l’Onu, come in altre occasioni, rimane bloccata dalle contrarietà della Russia o della Cina. L’ex Società delle nazioni da dimostrazione di essere un carrozzone macina soldi, come ogni sua agenzia, inadeguata a prendere decisioni che coinvolgono la vita dell’umanità e facendo scelte grottesche, se non crudeli, come affidare alla Libia la commissione per i Diritti umani. La Nato potrebbe chiedere, in attesa di accogliere la richiesta della Lega araba dell'istituzione della no-fly zone, ai paesi aderenti di schierare navi militari per effettuare una pressione sul Gheddafi. Un’eventualità sulla quale l’Unione africana riflette, mettendo in secondo piano la protezione della popolazione civile in Libia.
L’Occidente non può deludere, per troppa prudenza, deludere le aspettative di democrazia e libertà di un popolo. È già avvenuto negli anni ’60 con l’Ungheria e poi i kurdi, gli siiti e ad altri popoli occultati dai poteri forti. Ormai l’Unione europea come gli Stati uniti non possono far finta di aver espresso duri giudizi nei confronti di Gheddafi e se la dittatura libica uscirà indenne dalla rivolta non dimenticherà chi l’ha contrastato e la storia insegna come sia il colonnello estremamente vendicativo. Un personaggio rancoroso capace, come ha saputo dimostrare, di organizzare atti di terrore in e sopra altri paesi.
La Francia, pur rimanendo allibita come il resto dell’Occidente dai mutamenti e dalle incognite del futuro che stiamo vivendo, non si limita solo a condannare l’utilizzo “spropositato” della forza e temporeggiare, ma riconosce per prima il Consiglio nazionale dei rivoltosi libici come legittimo rappresentante del paese nordafricano e propone dei “bombardamenti mirati”, scansando Catherine Ashton, l’opaca responsabile della Politica estera dell'Ue, e le sue titubanze. Una Francia che diventa quello che è la Germania nell’economia: la locomotiva della politica estera dell’Europa dalla parte dei popoli, dopo aver precedentemente parteggiato per i tiranni.
Il ribollire nel Mondo arabo dello scontento, potrebbe essere l’occasione per l’Occidente di riflettere tra trattati di cooperazione Commerciale e quelli di Sviluppo, tra incassare subito i soldi e la possibilità di costruire un futuro per ogni persona e non solo per chi specula nella finanza e sulle risorse altrui.
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