Mario Attilio Levi, nel manuale scolastico del 1936 “Roma e il Mediterraneo” suggeriva un concetto forse sgradevole: che stiamo nel mezzo del Mediterraneo l’aveva capito molto meglio, pur fra tanti errori, la classe politica anteguerra. E quello che succede da pochi giorni dovrebbe aver aperto gli occhi anche a tutti quegli italiani che – complice un certo giornalismo – ignoravano tutto quanto esisteva dall’altra sponda ed ora vedono il proprio paese invaso e in guerra. Per chi non l’avesse ancora capito siamo in guerra ed è bene chiamare le cose col loro nome. Va detto subito che sarà una guerra lunga: sono definiti e raggiungibili gli obiettivi tattici immediati, ma non sono chiari quelli strategici. Da solo il fuoco non è risolutivo. In più, si è iniziata una guerra senza definire in anticipo la struttura di comando, ora finalmente coordinata dalla NATO ma in parte gestita da Francia, Regno Unito e Italia. Ma se la Lega Araba è cauta e l’Unione Africana persino assente, e se i Tedeschi possono anche disinteressarsi del Mediterraneo, culturalmente legati a un’idea continentale di Europa, erede forse del Sacro Romano Impero, noi invece non possiamo tirarci fuori, né potremo farlo mai. E forse sarebbe ora di ritornare protagonisti e non gregari.
Un passo indietro. Per anni abbiamo partecipato e tuttora partecipiamo a costose missioni di pace all’estero, possibilmente lontane, talvolta senza neanche valutarne appieno costi e benefici. Eppure nel 1982 avevamo cominciato bene, in Libano con il generale Angioni. E va ricordato che nel 2006 uno dei migliori risultati dell’allora ministro degli esteri D’Alema fu convincere gli Americani a far ridislocare le truppe italiane dall’Irak al Libano (operazione Leonte), dove ancora sono di presidio. Ci vorrebbe adesso uno statista capace di spostare i nostri soldati da Kabul, Helmand ed Herat per ridislocarli nel teatro mediterraneo, dove servono e serviranno in futuro. Sarà un caso, ma Karzai ha da poco accettato di prendere ufficialmente il controllo di sette province, e i Tedeschi hanno deciso di mandare truppe in Afghanistan. Il gen. Petraeus nello stesso momento ribadiva il 2014 come termine dell'intervento diretto alleato in Afghanistan ed è difficile a questo punto non collegare le tante coincidenze in un quadro complessivo. E sarebbe comunque ora che ci sganciassimo da un paese vasto, difficile, lontano e mal governato – l'Afghanistan – per difendere i porti, le spiagge, gli aeroporti e tutte le risorse di casa nostra. Il petrolio si può sempre comprare dopo: è interesse loro venderlo. La guerra con la Libia – lo ripetiamo - non sarà breve: tutti iniziano le guerre credendo di chiuder subito la partita, ma almeno per ora Gheddafi resiste e i ribelli sono coraggiosi quanto palesemente disorganizzati. Il problema è che il fuoco – cannoni o aerei è lo stesso – da solo non è risolutivo: se il terreno non l'occupa la fanteria, la no-fly zone è solo la prima metà dell'intervento. Il resto – a rigore – è affare del popolo libico, né credo che esista un governo europeo tanto pazzo da mettere in campo truppe di terra in un paese musulmano. E se l'obiettivo strategico è mal definito, meglio limitarsi al blocco navale, tra l'altro opportunamente affidato ora alla nostra Marina. In attesa di un'iniziativa politica.
Storicamentemente, gli Americani hanno bombardato Tripoli altre due volte: nel 1986, sotto la presidenza di Reagan, e addirittura nel lontano 1803, quando la US Constitution scatenò l'inferno con i suoi 60 cannoni per dare una lezione ai corsari barbareschi. E' notevole che nel Mediterraneo la marina americana avesse già all'epoca una capacità di proiezione ben superiore, p.es., alla tanto oggi esaltata marina borbonica. Ora gli Americani sono riluttanti a prendere l'iniziativa, avendo già troppe guerre in corso. Il problema è che l'Europa diventa una coalizione solo quando gli Americani se ne mettono a capo. La frase non è non mia, ma di Indro Montanelli.
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